L’arte cinetica italiana 1950 – 1970
Mostra d’arte contemporanea
“The Moving Eye – Linguaggi Dell’Arte Cinetica Italiana,
Anni ’50-‘70”
a cura di Micol Di Veroli e Massimo Scaringella
Dal 14 gennaio al 14 febbraio 2016
The Moving Eye, linguaggi dell’arte cinetica italiana,
Anni ’50–’70 presenta 50 opere composte
da dipinti, collages, video, sculture ed altri oggetti realizzati dagli artisti
chiave dell’arte cinetica italiana, da Bruno Munari, precursore delle ricerche
sulla percezione ed indiscusso punto di riferimento del design e la didattica,
fino ad artisti che condivisero la scena come Getulio Alviani, Marina Apollonio
passando attraverso raggruppamenti come il “Gruppo T” (Giovanni
Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Di Vecchi e Grazia Varisco),
“GRUPPO N” (Alberto Biasi, Edoardo Landi, Toni Costa, Ennio Chiggio e Manfredo
Massironi) e “GRUPPO 63” (Lucia Di Luciano, Lia Drei, Francesco Guerrieri e
Giovanni Pizzo). La mostra ospita inoltre una selezione di dieci abiti del
maestro Fausto Sarli che mostrano al pubblico le connessioni tra arte e moda in
quegli anni.
L’arte cinetica produce opere che sono aperte e programmate,
nelle quali il movimento è fondamentale. Il moto in tali opere può essere
reale, con l’apporto di meccanismi, oppure illusorio e ottico, ottenuto tramite
effetti di luce. L’opera d’arte programmata ha un suo ritmo, che idealmente può
anche ripetersi all’infinito. In questo tipo di opere è fondamentale il
coinvolgimento psicologico dello spettatore. La “programmazione” dell’opera
dev’essere totale e controllata, non è più un’arte basata sul gesto, sulla
materia, sul bisogno di espressione dell’Io, tutto questo era considerato
passato. L’opera era invece considerata come un processo razionale, da
controllare e da comunicare con scrupolosità. L’arte doveva avere una matrice
sperimentale, costruire modelli da sottoporre a verifica empirica. La
comunicazione era chiara, geometrica ed essenziale. L’opera deve stimolare la
percezione visiva, renderla attiva. E soprattutto, una delle grandi intuizioni
dell’arte programmata è quella di volere un artista che non sia più un
romantico irrazionale ed istintivo, ma piuttosto un operatore culturale che
lavora in squadra insieme a tecnici e scienziati, un attivista politico che
sappia coniugare l’arte con la società. L’arte cinetica si autoimpone il rigore
del fare in ambito creativo, un contatto analitico e disciplinato all’arte, che
cerca di mettere insieme arte, scienza, società, artista e spettatore.
Zagabria all’inizio degli anni sessanta, apre le porte ad una nuova ondata
creativa che di fatto genera un inedito approccio alla produzione artistica ed
alla visione critica della stessa. Nuove forme e contenuti vengono sviluppati
per stimolare il libero pensiero attorno alla funzione, al significato ed al
ruolo dell’arte all’interno della società contemporanea. La città diviene
quindi un vero e proprio crocevia di idee e comportamenti creativi che di lì a
poco influenzeranno tutto il mondo. Le energie eterogenee di Munari, Gruppo T,
GRAV e altri che sin dalla fine degli anni cinquanta avevano riunito un gran
numero di artisti sparsi per il globo provenienti da realtà e da esperienze
differenti, approdano nella penisola balcanica. Nel 1961 a Zagabria si inaugura
la mostra “Nove Tendecije” (Nuove Tendenze) la prima manifestazione
di quattro che mette in mostra artisti con idee affini ma con risultati
estetici eterogenei. Si tratta di un vero e proprio summit delle nuovi visioni
del periodo e quindi organizzare una delle più importanti retrospettive di arte
cinetica e programmata italiana come The Moving Eye, linguaggi dell’arte
cinetica italiana, Anni ’50–’70 a Zagabria rappresenta il naturale tributo
ad una città che ha tenuto a battesimo un nuovo ciclo di sperimentazioni ed ha
visto il consolidamento definitivo dell’arte cinetica e programmata a livello
internazionale.
La mostra è realizzata dalla Glocal Project Consulting di Roma in
collaborazione con ALTAROMA e la galleria 10 A.m. Art e gode del sostegno dell’Istituto
Italiano di Cultura di Zagabria.